IL PARROCO Don Mirco

Don MIRCO ZOCCARATO 

 

Parroco Don  Mirco Zoccarato nato a padova 

 

il 30 settembre 1974

 

Ordinato presbitero nella Cattedrale di Padova il 5 giugno 2011. 
Inizierà il suo servizio come Parroco di Caselle e di Murelle 

 

 

Carissimi amici delle comunità di Caselle, Murelle 

Il vescovo Claudio  mi manda a voi come vostro nuovo parroco!

 

 Carissime comunità di Caselle e di Murelle...

...domenica 21 ottobre mi avete accolto come un padre accoglie un figlio! Sento di esprimervi tutta la mia personale gratitudine che spero arrivi a ciascuno di voi! Ringraziare tutti è impossibile e allora mi affido alle parole che vi ho detto nel giorno del mio arrivo.

“...Il saluto più importante è per voi care comunità di Caselle e di Murelle rap- presentate oggi dai vicepresidenti dei consigli pastorali Laura e Daniele che ringrazio per come mi hanno introdotto in questi mesi e per le belle parole che mi hanno rivolto. Un grazie anche ai cori e a chi ha preparato questo giorno!!!
Il 1^ giorno in cui sono stato a visitare le nostre comunità mi ha colpito una cosa... appena sceso dalla macchina, guardando la chiesa di Caselle ho visto una targa sopra alla chiesa, con una scritta, quella che ricorda il restauro. Ci sono scritte alcune parole che mi hanno accompagnato in questi mesi e lungo il Cam- mino di Santiago: “A Dio grande e buono!”
Riprendendo quelle parole del vangelo di oggi... “che cosa posso fare per voi” chiede Gesù... «Che cosa volete che io faccia per voi?».
Onestamente, diventando il vostro parroco, un po’ me lo sono chiesto anch’io, e a dire la verità non so cosa posso essere, cosa potrò donarvi o cosa potrò fare per voi... ma vorrei assieme a voi custodire la bellezza, la fede e la verità di queste semplici parole, che staranno sempre sopra la nostra testa.
A Dio grande e buono vi affido e mi affido perchè la fiducia in Dio, nella sua grandezza e bontà, sempre e nonostante tutto, possa essere il bene più prezio- so che abbiamo qui a Murelle e a Caselle.
Grazie davvero a tutti!!!”
don Mirco
 
 

 

 



Don Luciano Carraro, dal 23 settembre 2017 nelle comunità di 

Caselle, Murelle 


nato a S. Giustina in Colle (Pd), il 17 marzo 1943,

ordinato presbitero in Cattedrale a Padova, il 1° aprile 1967 

PREGHIERA PER I SACERDOTI

                                              

Signore,
vogliamo pregarti oggi per tutti i sacerdoti del mondo.
Ti preghiamo per questi nostri fratelli

che dedicano la loro vita a costruire comunità.
Ti preghiamo per i sacerdoti:

categoria ormai in via di estinzione...
E mentre preghiamo per i sacerdoti,
pensiamo a tutti quelli che abbiamo conosciuto:
a volte sacerdoti staccati dalla gente comune,
a volte uomini pieni di comprensione e di umanità,
altre volte sacerdoti inchiodati

dalle loro incoerenze più o meno evidenti...
Molte volte i preti che abbiamo avuto accanto
li abbiamo giudicati, criticati, contestati, isolati...
Poche volte abbiamo ricordato

che il prete è solo un nostro fratello, limitato e fragile,
che dedica la sua vita ad annunciare il Vangelo,
cercando con tanta fatica di vivere le cose che dice.
Ti chiediamo, Signore,
di aiutarci a voler bene ai nostri sacerdoti.
Aiutaci a cercare il bene insieme.
Facci capire che prima di abbandonarli,
pensiamo che, anche loro, come tutti noi,
hanno bisogno di un sorriso e di un amico.
Signore Gesù, tu cerchi sempre dei “pazzi”,

dei "folli" d'amore disposti a seguirti.
Manda ancora nelle nostre comunità sacerdoti pieni di gioia,

capaci di stravolgerci il cuore con la tua grazia. Amen. 
 
 Strumenti e materiali “Tracce di cammino” per l’anno pastorale 2018-2019
 
Cosa significa evangelizzare per un giovane?
 
Mi è stato chiesto un breve contributo, personale ed esperienziale sulla prospettiva e i significati che ha per me la parola evangelizzazione ed evangelizzare.
Quando sentiamo parlare di evangelizzazione spesso il primo pensiero, la prima reazione, rimanda ad una specie di campagna acquisti, ad un reclutamento. Si trovano imbarazzo e paura di fare figuracce, ma nessuna traccia di entusiasmo. 
Vi riporto un esempio dalla mia esperienza. Quando ero educatrice di un gruppo di giovanissimi mi è stato detto di ricontattare alcuni ragazzi che durante l’anno non erano più venuti. Il gesto, idealmente bello e giusto, era però guidato dal pensiero “Devo farlo… Coraggio, una volta che l’avrò fatto mi sarò tolta un problema.” 
In generale, non c’è gioia nel gesto e non è un’iniziativa libera. O meglio, di certo sei tu, educatore, don o catechista, a decidere se metterti in gioco o meno, ma la risposta nasce dalla paura, dalla paura di restare con dei “buchi”. “Se non lo faccio non parte il gruppo giovanissimi come l’abbiamo pensato, se non lo faccio ci troveremo in quattro gatti, se non lo faccio il campo salta, ho sprecato tempo.” Ma questa non è evangelizzazione! 
 
Come pensare all’evangelizzazione in maniera diversa?
Per prima cosa, tante volte nelle nostre vite c’è una dicotomia, un’opposizione tra fede e vita, come se una fosse divisa dall’altra. 
Durante il lavoro nell’Assemblea Sinodale, leggendo i primi punti delle relazioni dei gruppetti sinodali in molti abbiamo notato come la fede non rientrasse nelle risposte alla domanda “Cosa rende bella la tua vita?” e comparisse solo a volte nelle risposte alla domanda “Cos’è importante nella tua vita?”. 
Ritengo che questa divisione sia dovuta ad alcuni retaggi del passato, divenuti ora controproducenti, che però sopravvivono tante volte nelle nostre parrocchie. Una volta per divertirsi e per stare in compagnia ci si trovava nei patronati. Ho sentito tanti racconti di adulti dai 40 ai 60 anni, pieni di entusiasmo, sulla vita dei giovani nelle parrocchie. In questi luoghi un giovane non solo seguiva cammini di fede o andava a messa ma anche coltivava amicizie, si divertiva e stava in compagnia: dunque parte della vita sociale si trascorreva nei patronati. 
Oggi il patronato, la parrocchia, per la maggior parte di noi giovani è diventato il solo luogo dove si parla di Dio. Per parlare di Dio, quindi per trovare proposte cristiane o momenti di preghiera, bisogna andare in patronato o in chiesa, riducendo però così la fede ad alcuni gesti settimanali che non sempre incidono sulla vita. Il resto della vita sta altrove, te la giochi fuori e la fede non c’entra. E quando per studio, o per altre priorità si lascia il paese e la propria parrocchia, anche quei gesti settimanali non si vivono più.
Può la fede vivere senza abbracciare lo studio, il lavoro, le amicizie? Possono lo studio, il lavoro, le amicizie essere vissute con significato senza la fede? Come giovane, ho scoperto che non può essere così perché viene meno il carburante per essere contenti. È l’intreccio di fede e vita che fa muovere una persona e rende bella la vita. Per questo abbiamo bisogno di una fede in uscita!
Seconda cosa: è necessario accorgersi che il cuore dell’uomo è un cuore che desidera. È fatto per indicarci la strada per essere felici e quando sbagliamo stride. La misura di questo desiderio viene colmata solo dall’amore di Dio. 
Questo desiderio l’abbiamo tutti, solo che alcuni ne sono consapevoli, altri no, altri lo rifiutano, in particolare molti miei coetanei. Siamo cresciuti con l’incubo della crisi, della pensione che non avremo mai, dell’“andare all’estero” non solo per avere una formazione migliore ma per restarci perché in Italia, dicono, non c’è futuro. 
Abbiamo bisogno di vedere voi adulti contenti della vostra vita, che ci mostriate come l’incontro con Cristo vi ha cambiati, come Dio ha realizzato la vostra vita. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci riproponga Gesù come ideale da seguire. Abbiamo bisogno di qualcuno che parli al nostro desiderio per riportarlo a galla e rendere quindi possibile l’incontro con Dio. Abbiamo bisogno di essere evangelizzati da voi; vogliamo che ci raccontiate quanto è bello e importante credere.
Terza e ultima cosa: “La Chiesa senza testimonianza è solo fumo!” così Papa Francesco ha concluso il confronto coi giovani alla Veglia per il Sinodo dei Giovani lo scorso 11 agosto. Credo che uno dei punti chiave sia lasciare che le persone che incontriamo si stupiscano di come viviamo, non guardandoci dalla vetrina ma invitandole a vedere e vivere la nostra fede. 
È un invito semplice: “Perché non vieni a vedere se Dio può compiere la tua vita e renderti contento?”  
Questo invito è ciò che di più bello possiamo fare per le persone a noi care. È un invito che rivela il bene che voglio per il mio amico, il desiderio che la sua vita sia felice, pienamente felice in Cristo. È perché io voglio bene e sono contento che propongo Cristo come modello al quale guardare, come persona da incontrare, come Presenza viva che rende la gioia piena e dà significato alla vita. 
Questo è l’invito, l’annuncio, che dobbiamo fare ai ragazzi dei quali siamo responsabili nelle parrocchie, che ogni giovane deve rivolgere ai coetanei e che anche voi adulti potete riattivare, dentro e fuori le nostre comunità. Cristo, il Vangelo, cambia le persone che lo incontrano e rende bella la loro vita.
 

 

INIZIAZIONE CRISTINA 

Iniziazione cristiana: perché cambiare.

Gli Orientamenti pastorali 2010-2011 “Gomunità grembo che genera alla fede” nella seconda parte dell’anno, prevedevano l’avvio del lavoro di ripensamento dell’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi (ICFR)che la nostra Diocesi è chiamata a svolgere.
Nel discorso dell’Assemblea diocesana del 20 novembre scorso, il Vescovo Antonio ribadiva la necessità e l’urgenza di questo compito affermando:

È questa una scelta, un progetto che riveste un’importanza fondamentale, ed ha un carattere di urgenza. È un progetto che richiede di essere accolto, compreso, condiviso e fatto proprio da tutti e da tutte le parrocchie. Per questo vi invito a interiorizzare le ragioni, le ,notivazio~ni di fondo che giustificano questa impresa pastorale a cui si accinge a inetter
mano la nostra Diocesi.
L’esigenza di rifondare l’impianto dell’iniziazione cristiana di fanciulli e adulti si è fatta sempre più viva e impellente a partire dal Concilio Vaticano II. Le trasformazioni avvenute in questi decenni sul piano culturale,sociale, della mentalità e dei costumi, lo rendono necessario e urgente.

IL PARROCO 

Il parroco è, nella Chiesa cattolica, il presbitero che il vescovo invia a presiedere una parrocchia.

L'autorità del parroco è dipendente da quella del vescovo, per realizzare gli orientamenti che questi propone alla sua diocesi. Quando un parroco detiene una qualche giurisdizione sulle parrocchie limitrofe, riunite in unità pastorali, foranie, vicariati o decanati, o presiede un capitolocanonico, prende il titolo di moderatore, vicario, prevosto, arciprete o decano. Gli stessi titoli possono essere spesso attribuiti anche per ragioni onorifiche.

Il termine viene dal greco antico πάροικος (pàroikos), a sua volta derivante da παρà οἰκεω (parà oikéo), cioè "abitare nei pressi", "abitare intorno", ad indicare la sua funzione di sacerdote di una chiesa circondariale, creata per essere più prossima alle dimore dei fedeli rispetto alla chiesa cattedrale.

La figura del parroco nasce infatti contestualmente alla parrocchia, nel momento in cui con l'espansione delle comunità cristiane la cattedrale non poteva più soddisfare compiutamente alle necessità dei fedeli. Per questo motivo, e per il fatto che molti cristiani vivevano lontano dalla cattedrale, si rese necessario aprire luoghi di culto decentrati, che il vescovo affidava alla cura pastorale di un presbitero.

Nella Chiesa cattolica latina il ministero dei parroci è regolato dal codice di diritto canonico ai cann. 519-534.
Il can. 519 situa il ministero del parroco nel contesto della vita ecclesiale: Sempre per il diritto canonico, il parroco può essere nominato dal vescovo per un tempo definito, in Italia per nove anni. Prima della scadenza dei nove anni, il vescovo non ha, però, il potere di revocarlo, se non per gravi motivi. Quando lo richiedano le circostanze, il capo della diocesi può comunque invitare quello della parrocchia a dimettersi, se sussistono motivi proporzionati o la destinazione ad altro incarico.

SCRIVO 

Strumenti e materiali “Tracce di cammino” per l’anno pastorale 2018-2019

Il prima del testo Il seminatore uscì a seminare che porta il sottotitolo Tracce di cammino è stato ricco di raccomandazioni accorate. “Mi raccomando Leo non scrivete un altro documento”. “Per favore, non inventatevi cose nuove”. “Cercate di essere brevi e comprensibili”. “Guardate che la nostra gente, in parrocchia ha tempi lunghi di assimilazione” e via dicendo.
Il mentre, il durante la scrittura del testo è stata contrassegnata appunto da queste preoccupazioni: provare ad essere sintetici e nello stesso tempo accessibili. Il mentre è sempre molto laborioso. Si vorrebbe farci stare dentro tutto in un linguaggio bello, aperto, arioso, possibilmente capace di suscitare desiderio ed immaginazione. Il mentre è fatto di cancellature, appunti in rosso, riferimenti, riformulazioni.
Il dopo il testo Tracce è stato caratterizzato da varie espressioni e sensibilità, come è legittimo di fronte ad un popolo di Dio così vasto ed articolato. “E’ interessante ma lascia aperti, troppo aperti tanti cantieri di lavoro”. “Non ci sono indicazioni precise. Quindi cosa dobbiamo fare?” Ma anche qualcuno ci ha comunicato: “E’ un bel testo, mi sono riconosciuto in quello che avete scritto, ho visto che quello che avevamo espresso noi in parrocchia è stato riconosciuto ed accolto nel testo”. 
Perché trovo importante questo testo? Direi almeno per quattro motivi.
Il primo. Perché è una reale restituzione, anche molto grata e riconoscente di quanto vissuto in questi mesi molto intensi della nostra diocesi, caratterizzati dal testo La parrocchia e da ciò che ne è scaturito come dibattito; e poi dal processo sinodale dei nostri giovani, il Sinodo, e la loro Lettera offerta a tutta la nostra Chiesa diocesana. Trovo decisivo poter dire grazie, riconoscere con stupore dove ci conduce il Signore, vivere nella riconoscenza che diventa a sua volta gratuità. 
Il secondo: Tracce di cammino rimette al centro l’orizzonte dell’evangelizzazione. Certamente non è qualcosa di nuovo, da sempre le nostre parrocchie e realtà ecclesiali hanno davanti questo motivo profondo. Ma forse era importante rimetterci davanti la gioia e la perenne novità del Vangelo, in un tempo anch’esso nuovo, che ci sorprende e ci supera. Possiamo vivere la grande festa del seminatore, cioè del Signore Gesù, sempre all’opera. Gesù non è solamente il contenuto da annunciare o la Persona da far incontrare ma sempre e continuamente colui che ci cerca e evangelizza. Rispetto a questo trovo anche interessante la possibilità di avviare delle sperimentazioni in loco, nelle nostre parrocchie e vicariati, riprendendo e rivisitando prassi antiche di vicinanza negli incroci della vita, impegnandoci in relazioni stabili e significative.
Terzo motivo: Tracce indica più atteggiamenti e degli stili piuttosto che strutturazioni, scadenze e compiti precisi. In questo senso forse supera anche l’arco temporale di un solo anno (nonostante il testo sia datato anno pastorale 2018-9) e l’anno prossimo potremmo non ritrovarci con un altro nuovo, titolo, slogan e cartellone, ma potremmo semplicemente proseguire sulla scia, sui passi de Il seminatore. Stare sul modo di essere, più come che sul cosa, più sullo stile che sui progetti definiti offre, è vero più insicurezza ma rivela più in profondità chi siamo e il seme buono che ci abita.
Il quarto è nel pensare la parrocchia soggetto unitario di evangelizzazione, capace di pensarsi, di riflettere su se stessa e di intuire cosa è prioritario nelle sue scelte attraverso il discernimento comunitario, ma anche soggetto che si comprende come un corpo organico, nel quale sono valorizzati tutti i suoi carismi e sono attivati dei servizi e dei ministeri senza pensare troppo alle categorie binarie che spesso ci condizionano: preti e laici, cristiani attivi e passivi, protagonisti e spettatori. Ogni battezzato costituisce e costruisce la comunità nella quale alcuni sono anche chiamati in modo specifico a mettersi a servizio degli altri e del territorio che il Signore ci ha affidato.    
 
Le Tracce hanno anche limiti, dimenticanze e carenze. Non c’è tutto. Qualcosa manca, qualcosa poteva essere detto meglio. Le Tracce ci portano nel mondo degli avverbi (ne dico alcuni: forse, probabilmente, come, così, mentre, molto, poco, davvero, durante …) che anche nei dialoghi normali rivelano tanto di noi. Le Tracce ci lasciano tempo e modo non per essere perfetti o definitivi ma sicuramente per intraprendere altre esperienze e avventure. Anche frattempo è avverbio, avverbio della Visita pastorale del vescovo Claudio: un tempo fra i tempi, per innescare primavere e fioriture.
Infine camminare è un continuo sbilanciamento verso l’altro. In ogni passo spostiamo il baricentro del nostro corpo e ci troviamo sbilanciati, proiettati in avanti, bisognosi e cercatori di nuovi appoggi e fondamenti. 
Camminare è un arte, tracciare il cammino è un arte. Silenziosa, nascosta, umile. A tutti noia tutte le nostre parrocchie, al nostro pastore don Claudio, buoni passi!  
don Leopoldo Voltan